Pensieri sconnessi di una lunga domenica pomeriggio

Il principio di partenza delle cose belle è la loro indeterminatezza, almeno questo credo di aver capito nell’ultimo anno. Ho sempre cercato di immaginare a quale perfezione aspirare, eppure tutte le volte che credo di aver toccato anche solo per un attimo la sensazione di qualcosa di perfetto, era tutto meno quello che pensavo o che avevo cercato.

Che banalità, direte voi. Certo, ma quando cresci cominci a capire anche che alcune cose sono banali se le vedi con gli occhi di chi le giudica, non con gli occhi di chi le vive.

Vi faccio un esempio, in questo momento c’è un vento caldo, un rumore lontano di cicale, un piccolo gorgoglio di un vino frizzante, e profumi di pino nell’aria. Potrebbe essere banale da leggere, ma non lo è da vivere. Ecco, da quando c’è stato il lockdown, e ho creduto di perdere cose che pensavo di non perdere mai, che poi ho recuperato (spero) con tutto il cuore che ho provato ad esprimere, quello che mi resta e che mi torna a visitare la mente ogni giorno è Quella sensazione di assenza, di perdita, di consapevolezza che ogni casella non è sempre sostituibile. Per tutta una serie di motivi queste sensazioni dal lockdown non riesco a farmele scivolare di dosso.

Prima la contemplavo, l’assenza, in qualche modo, era una sorta di luogo sicuro non inquinato da altre presenze se non la tua, ora la fuggo. Mi manca terribilmente quello che lascio indietro, anche se nell’aria c’è profumo di pino. Il fatto è che per me l’assenza non è più indeterminata, ma è qualcosa che fisicamente mi entra nelle ossa, come se fosse una perenne domenica pomeriggio.

L’indeterminatezza delle cose belle significa accettare anche i contorni fumosi della loro possibile assenza? Non lo so.

Ecco, quest’estate ha un po’ la la malinconia di una infinita domenica pomeriggio, piena di colori e piena di mancanze(a) che non riesco (voglio) lasciare dietro di me.

In continua ricerca di cose che non scompaiano al primo vento d’autunno.

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