Ma è giusto mitizzare il fallimento?

Ci sono alcuni articoli che mi lasciano piccole vibrazioni di pensieri che nei giorni e nelle settimane successive prendono una loro forma e un loro colore preciso.

Uno di questi è un bell’editoriale pubblicato su Wired Italia sulla storia di Doug Leone e della sua Sequoia, una delle società di venture capital più sorprendenti degli ultimi anni (per dire, hanno finanziato Google, Apple, Whatsapp etc)

La cosa che mi ha colpito della storia di Doug, è la fame che si porta dietro, nonostante i milioni di dollari, le cause vinte e i successi personali. Fame di finanziare persone prima che idee.

Perchè se sei un piccolo uomo cresciuto tra 4 mura d’oro e d’argento, puoi avere la possibilità di rendere idee mediocri appetibili a fondi d’investimento che guardano i bilanci e basta, ma non sei un imprenditore finanziabile da Sequoia. Devi aver conosciuto cosa significa non avere niente, per apprezzare cosa significa avere tutto.

La testa dovrebbe essere l’unico criterio di valutazione per qualsiasi tipo di finanziamento, perchè un’idea può fallire e non avere seguito, ma una persona in gamba prima o poi troverà la strada giusta.

C’è però qualcosa che in Italia non si capisce, quando si parla di start up, finanziamenti, smart, venture capital, incubatori (brr) etc.

Si prende la superficie del modello americano, l’essere mobili, cambiare velocemente, costruire e rompere, senza però approfondirne l’infrastruttura che sostiene un mondo come quello.

In America se fondi un’azienda nel settore tech, fai la tua esperienza di 2 anni, poi ti indebiti a tal punto che non riesci più a sostenere nulla e chiudi, è un fallimento mitizzabile perchè la società è in grado di assimilarlo.

Dietro ci sarà una Google, una Apple, una Amazon, pronta ad assumerti e a rendere la tua esperienza produttiva in un contesto più ampio, dove un fallimento diventa un MBA.

Ecco, in Italia c’è tutta la prima parte, ma non c’è la seconda! (Camisani Calzolari ne sa qualcosa a riguardo)

Se in Italia fallisci, non c’è nessuna Amazon, Apple, Google o Facebook pronta ad assorbirti per continuare a farti crescere.

In Italia se fallisci c’è solo il commercialista che ti aspetta con i libri contabili e l’avvocato che ti guarderà con quell’aria da Saul Goodman, con la differenza che non hai fatto i miliardi vendendo metanfetamina.

E’ facile vendere il concetto di essere smart, che il fallimento è giusto, che è tutto parte di un crea e distruggi per creare ancora. Fa molto figo, ed è davvero una visione bellissima delle cose, ma che richiede una società strutturata per funzionare. Richiede la presenza di un paracadute per chi non ce la fa. Di agevolazioni per chi vuole provarci. Di aziende che possono valorizzarti se da solo hai provato, e appunto hai fallito, ma nel frattempo hai imparato.

Altrimenti finisci semplicemente dal tuo commercialista, a testa bassa, con la tua copia di Wired in mano.

 G. Cupini (seguimi su Twitter)

NB: Ci sono moltissime persone che sono in grado di reinventarsi e diventare grandi nonostante i fallimenti anche in Italia, chi è partito dal basso e ora sta in alto, ma una società dovrebbe tutelare non solo lo stra-ordinario, ma anche l’ordinario, che da solo proprio non può farcela.

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2 thoughts on “Ma è giusto mitizzare il fallimento?

    • Devi avere la tua seconda possibilità per dimostrarlo, devi essere messo in grado. Se è possibile, è una società in cui accettare il fallimento, se non lo è, è una società che non è pronta alla flessibilità

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